Si chiama schiacciata, ma è tutto tranne che sottile. E’ il dolce di Pasqua tipico delle mie zone, diffuso in buona parte della Toscana con nomi leggermente diversi, con piccoli cambiamenti che ad un occhio esperto permettono di attribuirla senza ombra di dubbio al senese, alla Valdelsa o all’empolese.
Io a dir la verità la chiamo sportellina, il nome con cui viene definita a San Gimignano, perché nonno Remigio ne era un gran goloso e appena si entrava nel periodo Pasquale cominciava a mandarci spicchi di questa schiacciata ben chiusi in buste di plastica, per conservarla fresca. Mamma solitamente li portava a casa per merenda, arrivava e metteva la sportellina in un piatto con un coltello, nel mezzo al tavolo già apparecchiato per il tè pomeridiano.
Si chiama schiacciata (o stiacciata) perché per farla venivano schiacciate tantissime uova: siamo a primavera e le galline cominciano una produzione a ritmi sostenuti di uova. Ci fai una frittata, ci fai l’uovo al tegamino, ci fai anche il lesso rifatto, ma poi devi trovare un modo per usarle… e allora le donne facevano la schiacciata di Pasqua, ma non una o due, ne impastavano in grande quantità con quelle braccia abituate ai lavori nei campi, per regalarle ai vicini, ai parenti, al dottore, al farmacista, a tutti i notabili del tempo.
Il cugino di mamma, Gelsomino, nonché proprietario morale di questa ricetta che dopo anni mi ha sbloccata dall’ansia da prestazione dei lievitati, ancora oggi ne prepara una cinquantina ogni Pasqua.. che ci vuoi fare, conosco tanta gente…
Lui ci ha generosamente dato le dosi che funzionano – direi che dopo una produzione annuale di cinquanta esemplari perfetti possono considerarsi garantiti i risultati – per il procedimento il suggerimento era quello di guardare la pasta. Io l’ho guardata, e tra noi è nata una storia d’amore d’altri tempi, di quelle che seguivano i ritmi e le pause giuste, senza affrettare i passi da fare.
Come in ogni storia d’amore seria, questa ha anche una confidente, un’amica dall’altra parte del mondo che conosce i tuoi stati d’animo e li vive nello stesso momento. Anche Emiko ha cullato per ore il suo amore con la schiacciata di Pasqua, proponendo la versione di Fucecchio di questo grande classico toscano.
Ecco come tutto è iniziato.
Domenica, ore 18.30, comincio ad impastare. Mentre erano tutti fuori a godersi gli ultimi raggi di sole primaverile, io ero in cucina semi nascosta dietro la ciotola più grande che ho trovato, quasi un catino: latte appena tiepido e lievito di birra per cominciare. Mi piace sbriciolare il lievito di birra con le dita, le mani diventano subito vellutate e poi profumano di buono. Piano piano incorporo la farina con una forchetta, poi non resisto più e metto le mani dentro, accarezzo l’impasto e lo lavoro un altro po’, quel tanto che basta a renderlo omogeneo. Lo spolvero con un po’ di farina e lo metto a riposare nel forno, con la luce accesa per creare un po’ di tepore.
Domenica, ore 20.30, secondo impasto. Mamma, babbo e Claudia stanno cenando, io invece armeggio con la bilancia per aggiungere i primi ingredienti a quella che forse domani sarà la mia prima schiacciata di Pasqua. Uova a temperatura ambiente, zucchero di canna integrale, olio extravergine di oliva e ancora un po’ di farina, impasto. Lo so che è impossibile, ma già adesso mi pare che abbia un buon profumo, sono già orgogliosa e innamorata di questa pallina di pasta che nel calore del forno spento piano piano cresce.
Domenica, ore 23.30, terzo impasto. Se non fosse che crollo dal sonno e che faccio tutto con un occhio chiuso ed un occhio aperto, stancata da una giornata passata fuori al sole, troverei questo momento poetico. La casa è finalmente buia e silenziosa, mentre io sto impastando la futura schiacciata di Pasqua in un angolo della cucina, con solo una luce accesa sul banco di lavoro. Kira dorme in un angolo, con respiri profondi e regolari, faccio il possibile per non svegliarla. Ma nel silenzio della casa anche i gusci delle uova che si rompono sembrano assordanti. Ancora uova, quindi, e zucchero, olio, farina, succo d’arancia, rosolio di menta e maraschino. Per quando non riesca a sopportare il rosolio di menta da solo – mi sembra colluttorio – sono incredibili le sfumature che dà alla schiacciata di Pasqua, è quello uno dei segreti. Impasto per l’ultima volta oggi, metto gli anaci in ammollo nel rosolio, poi la pasta al caldo nel forno e io a letto.
Lunedì, ore 7.00 del mattino, suona la sveglia, quarto impasto. Durante la notte la schiacciata è cresciuta, ha già un profumo maturo, è già buona: e chi resiste a staccare un pezzetto di impasto crudo con le mani e mangiarlo, anche prima di colazione? Aggiungo gli ultimi ingredienti: uova, olio, burro fuso, rosolio di menta, maraschino, farina, zucchero e gli anaci ben strizzati. Insieme al rosolio di menta rendono la schiacciata diversa da qualsiasi altro dolce di Pasqua abbiate mai mangiato.
Lunedì, ore 11.00, quinto impasto. Questa volta non aggiungo niente, la schiacciata di Pasqua è già compiuta nei suoi profumi, mi limito ad impastarla con energia, la suddivido in tre stampi di carta e la metto a letto, nel mio letto, tra due cuscini coperta con il piumone, poi accendo lo scaldasonno. Nei tempi andati mettevano il caldano nel letto, oggigiorno siamo più moderni, e il mio scaldasonno culla le tre schiacciate in un tepore costante che le deve far raddoppiare di volume nel giro di qualche ore.
Lunedì, ore 16.00, il forno è caldo. Le finestre di casa e la porta sono ben chiuse per non creare spifferi che potrebbero far sgonfiare le schiacciate in un soffio. Con nonna andiamo in camera mia, scopriamo il piumone e portiamo giù in cucina le schiacciate in processione, coperte da un canovaccio tiepido per conservarle nel tepore a cui sono abituate. Una veloce spennellata di albume sbattuto per lucidarle e poi le chiudiamo nel forno. Io mi siedo lì e le guardo crescere.
Lunedì, ore 16.50, sono pronte. Spengo il forno e apro lo sportello e l’odore di lievito, anice e rosolio di menta mi investe insieme al calore umido delle schiacciate. C’è solo una cosa che batte il loro profumo, il loro sapore sottile, ma per quello bisogna aspettare che si raffreddino, sarà l’ora più lunga e tentatrice, se non è struggimento d’amore questo…
La schiacciata di Pasqua non è burrosa e dolce come la colomba, che le contende il titolo di dolce di Pasqua per eccellenza qui in famiglia. E’ un dolce schivo, ci vuole un po’ di tempo per apprezzarlo. Ha il carattere di certi toscani, un po’ ruvidi in superficie, ma quando li conosci meglio sanno sorprenderti. Per tradizione si mangia con l’uovo di Pasqua o si inzuppa in un po’ di vinsanto, onnipresente sulle nostre tavole nelle feste comandate, e non solo.
Io rivoluziono tutte le regole, e faccio una cosa che non andrebbe fatta, per la quale potrebbero radiarmi dall’albo dei toscani doc: io inzuppo la mia fetta di sportellina nell’acqua, proprio come facevo e faccio tutt’ora con i cantucci. Lo faccio in modo furtivo, quando non mi vedono, un piacere raddoppiato dall’essere sconveniente. Restano le tracce nel bicchiere e un sorriso sul mio volto a testimoniare questa eresia.
- ca. 1,5 kg di farina 00
- 50 g di lievito di birra (2 cubetti)
- 150 ml di latte intero
- 7 uova
- 450 g di zucchero
- 110 g olio extravergine di oliva
- 50 g di burro
- 50 ml di rosolio di menta
- 50 ml di maraschino
- succo di ½ arancio
- 15 g di anaci
- 1 albume per lucidare la superficie
- Primo impasto. Prepara un primo impasto disciogliendo i 2 cubetti di lievito in 150 ml di latte tiepido, poi aggiungi gradualmente la farina, circa 300 g. L'impasto rimarrà abbastanza appiccicoso, ma forma una palla coprendola con un po' di farina e lasciala riposare in un posto tiepido e senza correnti d'aria per circa due ore, fino a che non comincia a muoversi.
- Secondo impasto. Aggiungi al primo impasto 3 uova a temperatura ambiente, 150 g di zucchero di canna integrale, 40 g di olio d'oliva, ca. 400 g di farina, impasta e lascia riposare in un posto tiepido e senza correnti d'aria per circa 3 ore, o finché non raddoppia di volume.
- Terzo impasto. Aggiungi 2 uova a temperatura ambiente, 150 g di zucchero, 40 g di olio d'oliva, ca. 400 g di farina, 25 ml di rosolio di menta, 25 ml di maraschino e il succo di mezza arancia. Lascia riposare per almeno 3 ore, finché non raddoppia di volume.
- Quarto impasto. Aggiungi ancora 2 uova a temperatura ambiente, 150 g di zucchero, 30 g di olio d'oliva, ca. 400 g di farina, 50 g di burro sciolto, i semi di anice, 25 ml di rosolio di menta e 25 ml di maraschino. Lascia riposare per almeno 3 ore, finché non raddoppia di volume.
- Quinto impasto. Una volta che ha di nuovo duplicato il volume, lavora di nuovo l'impasto e suddividilo in 3 parti uguali (io ho fatto 1 kg, 1 kg e 750 g) e mettilo dentro i 3 contenitori nei quali cuocerai le schiacciate e mettile in un posto caldo a fare l'ultima lievitazione, per almeno 4 - 5 ore, finché non sono raddoppiate di volume.
- Preriscalda il forno a 180°C e quando le schiacciate sono pronte spennella la superficie con un albume sbattuto per lucidarle, infornale e cuocile per circa 45 - 50 minuti, finché non sono gonfie, ben colorate di un marrone scuro e asciutte.
- Lasciale riposare qualche momento in forno prima di toglierle e farle raffreddare completamente.
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